Ciò che è accaduto a Roma in questi giorni per un cartello pubblicitario di ProVita Onlus a favore della vita nascente ha dell’incredibile e non poteva mancare l’intervento dell’on. Monica Cirinnà, che ancora una volta – come se ce ne fosse stato il bisogno – ha lasciato trasparire tutta l’ipocrisia di quel mondo di morte e di dissoluzione -di cui lei è fervente ambasciatrice – che, paradossalmente, si erge paladino contro qualsiasi ingiustizia e disuguaglianza, nonché difensore di quella stessa libertà che però nega, con precisione chirurgica e puntualità svizzera a coloro che non la pensano uguale.
Ma andiamo per ordine: lo scorso 3 aprile l’associazione ProVita Onlus ha fatto regolarmente affiggere un manifesto dalle dimensioni imponenti (metri 7×11) al civico 58 in via Gregorio VII a Roma contro l’aborto, a difesa della vita nascente, in occasione dei 40 anni (a maggio) della legge 194. Le lobby abortiste sono subito insorte accusando il manifesto di mettere in discussione il diritto di scelta delle donne, per giunta sotto forma di “ricatto morale” (addirittura!).
#rimozionesubito è l’hashtag lanciato da Monica Cirinnà sui social (twitter e facebook), al termine di un suo breve post contro l’iniziativa di ProVita, per chiedere appunto la rimozione del manifesto. Un post di poche parole, ma che dice tutto sul Cirinnà-pensiero e che apre un mondo di riflessioni.
La senatrice ha una laurea in giurisprudenza, conseguita presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, e questo rende ancora più grave ciò che, in poche righe, come dicevo, è stata capace di insinuare secondo una mia personale (ma non solo) interpretazione e cioè:
- che l’immagine di un feto all’11esima settimana è censurabile perché vergognosa e impressionabile (ma secondo questo ragionamento bisognerebbe toglierla allora anche dai manuali di medicina. E perché allora sui pacchetti di sigarette si è voluto mettere appositamente e per legge delle immagini crude sui danni causati dal fumo per convincere i fumatori a smettere?)
- che la legge 194 istituirebbe un “diritto all’aborto” da pretendere e applicabile a piacimento.
- che manifestare pacificamente contro una legge dello Stato è reato.
- che il diritto di scelta delle donne è considerato “libero” solo se esercitato senza una corretta presa di coscienza, senza cioè che sia data alle donne la possibilità di essere informate correttamente, sull’atto che vanno a compiere.
- che l’unica libertà di coscienza tollerata e garantita (nella quale rientra il diritto di scelta della donna) è l’uccisione di una vita umana ancora nel grembo materno (vedi aborto) o non più degna di essere vissuta (vedi eutanasia)
Alla fine il manifesto è stato oscurato (coperto) dopo appena tre giorni di affissione, con una celerità alquanto inusuale, dal comune di Roma per “contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”. Comune presieduto, è bene ricordarlo agli elettori cattolici, dal sindaco pentastellato Virginia Raggi, la quale evidentemente è concorde nel considerare delle verità scientifiche e quindi inoppugnabili come lesive e irrispettose…
Se non fosse tutto drammaticamente vero, sembrerebbe il racconto di una barzelletta questa censura chiesta a gran voce ed attuata da coloro che, fino a pochi giorni fa, gridavano all’imminente pericolo fascista per la democrazia in Italia.
Ciò che è accaduto non deve essere sottovalutato, perché è il segnale di un sistema intimidatorio, se non già dittatoriale, già in avanzato stato, come una metastasi, all’interno delle Istituzioni. Se uniamo tutti i puntini, ovvero i segnali che ci giungono dalle cronache degli ultimi anni, del cosiddetto “politically correct”, il quadro che ne esce è molto preoccupante e niente affatto “correct”.